PARTITA LA FICTION “SOTTO COPERTURA”: RAI UNO CERCA ASCOLTI TRA LA DENUNCIA SOCIALE E L’ ASTUZIA DI UNA SCENEGGIATURA RUFFIANA Cinema Cultura 3 Novembre 2015 Claudio Gioè è un commissario rigoroso e dalla recitazione a scatti; Guido Caprino un boss Iovine tra Rossi Stuart e Sergio Assisi, forse troppo affascinante di ROMOLO RICAPITO Claudio Gioé E’ partita la fiction “Sotto Copertura“, due puntate su Rai Uno. Preceduta da un ampio battage pubblicitario con spot sulla stessa rete e partecipazioni dei protagonisti alle varie trasmissioni, “Sotto Copertura” vede la presenza di Claudio Gioè nei panni del commissario Romano e di Guido Caprino nel ruolo del boss dei Casalesi Antonio Iovine. Altri interpreti sono Filippo Scicchitano, volto finora prettamente cinematografico (“Scialla“, “Bianca Come il Latte, Rossa Come il Sangue“) e Simone Montedoro. Nel cast anche Iaia Fiastri nel ruolo della Procuratrice. La regia è di Giulio Manfredonia, la produzione di Luca Bernabei per Lux Vide. Claudio Gioè è un ispettore di polizia dal volto umano e dalla recitazione concitata, naturalistica. Antonio Iovine nell’interpretazione di Guido Caprino è rappresentato come un uomo affascinante e carismatico, nonostante l’empietà di fondo: un misto tra Kim Rossi Stuart e Sergio Assisi. Come scritto anche dal Fatto Quotidiano del 2 novembre, l’ex boss Iovine tramite l’avvocatessa Valeria Maffei si è opposto alla fiction: dopo l’arresto ha cambiato vita, ma dalla narrazione filmica ciò non emergerebbe , quindi il suo assistito appare col vero nome ma gli altri protagonisti reali con identità falsate. In effetti, Il commissario Vittorio Pisani che si occupò dell’arresto di Iovine nel 2010 (dopo ben 15 anni di latitanza) assume nella miniserie il nome di Michele Romano. Ma vediamo adesso i contenuti della prima puntata. E’ evidente che le indagini, come si desume dal contenuto, si scontrarono con una burocrazia garantista che permise a un pericoloso latitante di sopravvivere tanto tempo a piede libero. Ma i protagonisti della cronaca non possono e non devono essere solo i cattivi, o gli agenti, ma anche le vedove degli stessi agenti uccisi, alle quali si accenna. La rappresentazione della fiction evidenzia il lavoro di copertura che occulta l’identità della donna del boss, una giovane estetista, ma anche le varie altre coperture alle quali i poliziotti scelti devono necessariamente ricorrere per espletare le loro indagini. Ma esiste poi un sottobosco di lavoratori clandestini, anche cinesi, ai quali la narrazione accenna. La fiction di Manfredonia esplora l’arretratezza culturale di Casal di Principe nel casertano (omertà, violenza gratuita) in stile cinema anni Settanta con la descrizione di interni sciatti, siano essi caserme delle forze dell’ordine o abitazioni civili. Il limite è costituito da un prodotto troppo televisivo come stile e impostazione e troppo poco cinematografico come avrebbe invece necessitato. Assistiamo a un “telefilm” che narra vicende dell’altro ieri, ma più che un ritratto d’epoca recente assomiglia a materiale già d’archivio , in pratica un’operazione anacronistica che sa di mestiere e assai poco ha di artistico. La scelta della produzione mira quindi non alla sopravvivenza del prodotto nel tempo, ma ad ascolti sicuri e quasi scontati . Per forza di cose “Sotto copertura” si trasforma allora in una fiction quasi sentimentale : la donna del boss pronta a innamorarsi del fidanzato farlocco, voluto dallo stesso boss, la figlia del commissario già in età da marito e costui potrebbe magari essere uno degli agenti affiliati al padre, la vita privata dei poliziotti, qualcuno con un divorzio alle spalle e moglie refrattaria nel far visitare i pargoli a colui che la cornificò. Si può vedere, ma non si deve attribuire almeno alla prima parte una valenza di grande contenuto o solo esclusivamente di denuncia: si sfruttano i luoghi comuni televisivi per creare empatia con scarsa abilità e scontati risultati.