The Hateful Eight : Quentin Tarantino ha diretto un film molto teatrale con venature rosso sangue. Eccesso di violenza e dialoghi. Ed è polemica per la scena della fellatio omosessuale (allo Showville di Bari) – di Romolo Ricapito Cinema Cultura 5 Febbraio 20166 Febbraio 2016 Cast di “The Hateful Eight” di Quentin Tarantino di Romolo Ricapito The Hateful Eight di Quentin Tarantino è un film attesissimo in Italia, soprattutto per la fama del cineasta, ma anche per gli echi della candidatura all’Oscar del maestro Ennio Morricone, che l’ha musicato. Il film si divide in “capitoli” e ognuno di essi è titolato. Samuel L. Jakson in una immagine del film Ciò rimanda al fatto che la pellicola è “letteraria”, ovvero per i tre quarti abbondanti – e anche di più – si basa su una sceneggiatura fluviale dello stesso Tarantino. L’ultima diligenza, il primo episodio, vede un cacciatore di taglie di colore (Samuel L. Jackson, alias il Maggiore Marquis Warren) che incontra una diligenza con a bordo un “collega”, ovvero un altro cacciatore di taglie, John Ruth, interpretato daKurt Russell. Mentre Marquis trasporta a cavallo dei cadaveri (sull’onda del detto “ricercati, vivi o morti“) il “collega” ha catturato viva una criminale , Daisy Domergue, interpretata da Jennifer Jason Leigh, l’unica donna del cast, se si eccettuano alcune attrici presenti in una sorta di prologo che si vede successivamente e che comunque costituiscono personaggi di secondaria importanza. Jennifer Jason Leigh Il tutto si svolge in mezzo alla neve sulle montagne del Wyoming. La sceneggiatura è ricca sin dall’inizio di offese verso i neri, che non sono altro che la viva documentazione del razzismo relativo a quel periodo storico, successivo alla guerra di Secessione. Siamo negli Stati Uniti del nord, non a caso: “negro”, “carboncino”, “tizzone” sono alcuni degli appellativi adoperati sia da John Ruth che da Daisy e poi da tutti gli altri membri “bianchi” del cast che via via seguiranno. Una sorta di leit motiv della storia è una lettera conservata da Marquis che testimonia una sua corrispondenza col presidente Abraham Lincoln. Tale missiva, che finirà coperta di sputi e finanche macchiata di sangue dei “rivali” del cacciatore di taglie ( personaggio principale degli otto in totale) è argomento ricorrente di tutta la pellicola e il significato di questa missiva sarà alla fine svelato. Lo stile del film: è una riscrittura del western tradizionale con paradossi, dialoghi icastici e personaggi ambigui, talvolta feroci. Kurt Russell e Quentin Tarantino La musica di Morricone all’inizio si impone con una serie di overture che riecheggiano le colonne sonore più celebri del Maestro, più avanti c’è una prosecuzione con un commento spesso frenetico che accompagna i momenti più drammatici. Arrivati al capitolo tre, “L’emporio di Minnie” i tre viaggiatori si incontrano col resto dei personaggi in una sorta di enorme negozio- saloon . Il boia Oswaldo Mobray, inglese, interpretato da Tim Roth è ad esempio l’epitome dell’intellettualismo europeo, a fronte della praticità degli americani. Il generale razzista Sandy Smithers recitato dal veterano Bruce Dern è il personaggio più anziano: rappresenta l’America conservatrice e ovviamente razzista. I dialoghi assumono significati evocativi di storie pregresse, in particolare riguardanti la Guerra di Secessione, che tutti i caratteri hanno vissuto. L’impianto teatrale prevale, assieme al gioco delle parti: nessun personaggio è quello che dice di essere, o quasi. Tim Roth Ne è consapevole il furbo Maggiore Warren, pronto a tendere le sue “trappole”. Assieme ai dialoghi intensi e logorroici, sono presenti espedienti tipici del palcoscenico . Resta da vedere se è sopportabile l’esposizione di una sceneggiatura troppo straripante e anche invadente. I personaggi vogliono argomentare le varie facce dell’America arcaica. Il razzismo poi coinvolge anche un messicano, Bob, da parte (addirittura) di un personaggio di colore, la proprietaria della locanda. In una escursione all’esterno, con un rewind, il personaggio interpretato da Samuel L Jackson racconta di una vendetta contro il figlio del giudice Sandy Smithers (Bruce Dern). Tale vendetta si completa con una fellatio che il giovane fu costretto a praticare al maggiore Marquis Warren. La scena, che è stata oggetto di polemiche in America, costituisce nel racconto del maggiore una sorta di rivendicazione della sua “razza” contro la prepotenza dei bianchi, dunque il riscatto di un popolo oppresso. Domergue, interpretata da Jennifer Jason Leigh è invece un personaggio estremo che subisce il sadismo dei compagni nella locanda ma è anche sfrontatamente combattiva, sino a volere ribaltare questa forma di violenza che sotto sotto indica la supremazia nel vecchio west dell’uomo rude sulla donna, anche se essa poteva essere una criminale o una prostituta. Nella seconda parte si svolta in una sorta di thriller alla Agatha Christie per scoprire chi vuole avvelenare chi, alla qual cosa segue un prologo che vuole mettere al corrente degli antefatti della storia, come già detto. Il prologo segna in realtà l’esplosione di una folle violenza, della quale Tarantino è maestro : ma in questo caso egli commette degli errori di stile abbondanti. Il Grand Guignol inarrestabile è usato per fini spettacolari, ma sottolinea anche un impianto della struttura narrativa non omogeneo. E’ come se Quentin Tarantino avesse avuto voglia di accontentare una parte di spettatori più sensibili agli effetti e molto meno ai dialoghi, per riscattare la noia della prima ora e mezzo a fronte di una durata di quasi tre ore. Ma ha esagerato in un senso e nell’altro: se la sceneggiatura è un chiacchiericcio che copre tutto, il sangue in eccesso rivela un’altra forma di scompenso. Non a caso il film in America non ha riscosso il favore dei precedenti. In pratica Tarantino rivela una sorta di immaturità, mentre avrebbe dovuto discostarsi da certi espedienti che lungi dal dare a The Hateful Eight la patente di capolavoro lo screditano, additandolo come una pellicola minore del filmaker, grande ammiratore di Sergio Leone. Gli attori sono tutti bravi: l’interpretazione di Samuel L. Jackson, che non è stato nominato agli Oscar, ha dato il via alle polemiche sul presunto boicottaggio quest’anno verso gli attori di colore.