The Assassin, film del taiwanese Hu-Hisao-hsien: quasi un capolavoro, ma per (pochi) palati raffinati Cinema 5 Ottobre 20165 Ottobre 2016 di Romolo Ricapito Difficile recensire un film come The Assassin, ambientato nella cultura millenaria della Cina e addirittura moltissimi secoli fa, nel IX. La trama è difficile da capire, perché occorrerebbe ben conoscere la storia antica della Cina e del continente asiatico più in generale, ma ci troviamo davanti a un cinema raffinatissimo e curato nei minimi particolari. Più che capire, o “interpretare” allora l’intricato intreccio, è sufficiente immergersi nell’atmosfera ovattata e rarefatta di quest’opera frutto dell’intelligenza e della capacità di un regista come Hu-Hsiao-hsien, cino-taiwanese, classe 1947. La fotografia, le scene, le scelte autoriali e gli interpreti sono di prima scelta, così come le sete e i bellissimi tessuti dei costumi d’epoca. La recitazione degli attori, più che teatrale, è ieratica: essi pronunciano le loro battute in una sorta di raccoglimento meno che dei gesti e più del portamento, pronti ad animarsi però nelle scene d’azione, o guerresche, che costituiscono una sorta di balletto artistico con una violenza non tanto eseguita, ma accennata. La scena migliore è quella dove il personaggio interpretato dall’attore Cheng Chiang, bello e sciolto, si immerge in una danza con le sue ancelle. La sequenza è di una perfezione stilistica innegabile, splendidi i ballerini, anzi le ballerine. L’ ex modella, Qi Shu, ha il ruolo, dell’assassina Nie Yanniang, la nemica del governatore della provincia di Weibo. Dietro c’è una storia di incesti, promesse non consumate, amori impediti e nuovi imbrogli su gravidanze, nascoste con l’artifizio di fingere mestruazioni usando del sangue di pollo. La vera protagonista del film, assieme agli interpreti in carne ed ossa, è la natura. Non si tratta di un film “da camera”, ma di una pellicola che sfrutta esterni inediti e spettacolari, fatti di laghi sormontati da cascate, giungle lussureggianti, boschi di alberi lunghi e stretti dalla corteccia bianca con venature marroni. In questi ambienti la protagonista si muove con scioltezza e speditezza, integrandosi nell’armonia del creato. Il film è stato accusato da molti spettatori all’uscita dalla sala, come documentato nel programma di Rai Uno “Cinematografo” di essere lento. In realtà tale giudizio è forzato dall’ abitudine di apprezzare pellicole italiane e americane che sfruttano tempi cadenzati allo scopo di risultare digeribili, ma in realtà The Assassin è un film vario e agile e non può essere tacciato di pesantezza. Occorre seguirlo attentamente senza patemi d’animo e privi di quelle aspettative che di solito confinano il cinema dell’Occidente in prodotti puramente commerciali. In questo caso trattasi di un cinema di qualità superiore e ciò è stato riconosciuto dai numerosi premi vinti da The Assassin, agli Asian Film Awards, gli Oscar “cinesi”, ma anche in competizioni aventi luogo ovunque nel globo. Anche la colonna sonora ha ottenuto riconoscimenti e sui titoli di coda stupisce una sorta di musica movimentata di stile irlandese. Il musicista impegnato nel commento musicale è Lim Giong, che è anche un attore. Quello che però allontana The Assassin, volendo formulare una critica, da un genuino capolavoro, è proprio la sua raffinatezza, che talvolta sconfina in uno stile eccessivamente documentaristico, come verso la fine, quando ci si sofferma su un gregge di capre e caprette. Qui la mania estetizzante del regista ha il sopravvento, trasformando la sua opera in un documentario da National Geographic.