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Vittoria e Abdul: nuovo capolavoro di Stephen Frears tratto da un fatto storico recentemente riscoperto

Davvero buona l’accoglienza del pubblico italiano per il film di Stephen Frears “Vittoria e Abdul” di genere storico, commedia e biografico.

Frears, forte di recenti capolavori come Florence Philomena ha veramente superato se stesso riscrivendo un capitolo di storia inglese   ignoto ai più.

Inoltre lo stile sin dall’inizio gioioso, ironico e divertito ha giovato all’opera che descrive il declino fisico dell’anziana regina Vittoria (1819-1901) ma non quello mentale.

La donna, che fa il suo ingresso in scena interpretata dalla fantastica Judi Dench come un’inguaribile mangiona ghiotta di zuppe, asparagi e selvaggina, quest’ultima divorata a mani nude, ha ancora tanta voglia di vivere e d’imparare tramite la cultura e l’estro di un giovane servitore indiano, spedito apposta dalla patria natia per consegnarle come “valletto” una moneta coniata in suo onore.

Una certa audacia, inesperienza e anche avvenenza del giovane Abdul, indù musulmano, catturano immediatamente l’attenzione di Vittoria che diventa prima un’allieva del giovane “poeta” (egli ha una cultura letteraria mutuata dalla sua sensibilità e dall’apprendimento del Corano che conosce a memoria) e in seguito una sua sfegatata fan tanto da ricompensarlo con onorificenze e altri incarichi più prestigiosi e impensabili per la cultura dell’epoca, intrisa di convenzioni e razzismo.

Ovviamente questa svolta “vittoriana” dell’apparentemente algida regina stride con i voleri della sua corte, un insieme di parassiti e   razzisti capitanati dal figlio Bertie, che ormai cinquantasettenne  non vede l’ora di regnare.

Ma al di là della storia e delle splendide descrizioni di interni costituiti dai palazzi imperiali, ma anche da favolosi esterni, come la colazione all’aperto nel freddo rigido della tenuta di Balmoral, il messaggio del film è che non esistono posizioni inavvicinabili a livello di potere.

E che detto potere isola le persone. Toccanti le esternazioni della vecchia regina che trova in Abdul un fedele confidente dei suoi patemi d’animo: la reggenza è una condanna, l’ha infatti isolata dagli altri imponendole un ruolo non sempre corrispondente alla sua vera identità. Inoltre Vittoria umanamente soffre della vedovanza e dei tanti lutti che ha dovuto sopportare. E’ sola.

Ma la voglia di rimettersi in gioco imparando dal suo “maestro indiano” nuove lingue, nuove conoscenze principalmente sull’India, nazione della quale è Imperatrice, ne fanno un personaggio da manuale.

Per fortuna grazie alla ironia della sceneggiatura si ride, ma è un umorismo intelligente che è diretto al cervello dello spettatore e non alla pancia.

La figura di Abdul, sotto alcuni aspetti anche ambigua (non si sa quanto sia un seduttore calcolato oppure un fanciullo spontaneo nei suoi slanci) è interessante come quella della “sua ” Regina.

Una scritta finale chiarisce che il personaggio del giovane indiano è di recente acquisizione storica: sono stati scoperti, o riscoperti nel 2010 i suoi diari inediti.

Secondo la sceneggiatura molte testimonianze fotografiche, scritte e di oggetti furono distrutte da Bertie, il nomignolo di Edoardo VII, una volta assurto al trono.

I palleggi tra la Dench e Ali Fazal,attore trentunenne (ma ventiquattrenne nel film) sono imperdibili ed è probabile la nomination all’Oscar per i due e naturalmente per il film, il regista e la sceneggiatura scritta da Lee Hall.

Il cast di caratteristi è notevole ma ovviamente i due interpreti principali accentrano la scena senza un minuto di vera noia.

Il tutto poi è basato su un libro di Shrabani Basu, una giornalista del Times of India.

La cronista ha scoperto la figura del servitore indiano visitando il palazzo dove la regina Vittoria trascorreva le vacanze estive sull’Isola di Wight: nella sala dei banchetti della Osborne House esistono dei ritratti del giovane e un suo busto. Ma tale servitore era raffigurato alla stregua di un nobile.

La sagacia e l’intuito della Basu hanno ricostruito questa figura storica “minore” che però ebbe una grande influenza su Vittoria verso la fine del suo lunghissimo regno. Ma comunque questa insolita amicizia durò tredici anni. Riscoprirla, restituirla al mondo è stato complesso ma non impossibile.

Molte lettere e testimonianze, come già detto, furono bruciate in Inghilterra dopo la morte della regina.

Ma altre prove, come i quaderni utilizzati da Abdul per insegnare a Vittoria la lingua hurdu scritta sono però emersi. Altri documenti sono stati scoperti in India. Per esempio quelli custoditi gelosamente dai nipoti del servitore indiano, che erano intonsi e sono costituiti da quaderni scritti. La storia inedita è rimbalzata in Gran Bretagna e si è deciso di farne un film.

Ottima scelta per la cultura e per il cinema di qualità che deve educare gli spettatori istruendoli, ma senza forzature.

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