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La storia di Simonetta e Candida, due alunne del  liceo classico molto studiose nella Bari dei primi anni Sessanta

di Romolo Ricapito
*L’autore dedica questo suo racconto in due parti, in occasione dell’inizio del Sessantottesimo Festival di Sanremo, a MILVA

Era un fine febbraio molto freddo e un po’ triste a Bari dell’anno 1962.

Simonetta Pastrellano di 17 anni frequentava la seconda liceo classico presso l’istituto Quinto Orazio Flacco  ed era un’alunna molto seria e studiosa.
Si preparava per la maturità dell’anno successivo e aveva ben poche distrazioni.
La sua amica del cuore era la compagna di classe Candida Mihaidetto.
In realtà Mihaidetto non era il vero cognome di Candida: ma da bambina, al lido San Francesco all’Arena, aveva rischiato di affogare ed era stata salvata appena in tempo.
Le era entrata molta acqua nelle orecchie e per un po’ di giorni non sentiva bene suoni e parole.
Così diceva ai familiari: “mi hai detto? Mi hai detto'” invitandoli a replicare  i concetti.
Poi era guarita, ma per un blocco  psicologico continuò a soffrire di questo disturbo. E al liceo, quando i compagni la interpellavano, spesso non afferrava subito i concetti e ripeteva: mi hai detto? Mi hai detto?
Perciò le affibbiarono quel cognome-soprannome che le restò appiccicato per sempre.
Simonetta aveva una straordinaria somiglianza con la cantante Milva, che nel 1962 era l’interprete più popolare della musica leggera italiana.
Tale somiglianza era così accentuata che, quando camminava per strada, spesso ragazzini e mamme le urlavano dietro: Milva! Milva!
All’inizio la ragazza era seccata, ma poi iniziò a esagerare  la cosa con la pettinatura uguale a quella del suo idolo e qualche vestito che la sarta di famiglia le cuciva, copiato dalle apparizioni televisive  della cantante.
Ma in genere per l’educazione restrittiva del tempo la giovane vestiva sempre in modo molto semplice e rigoroso, in gonna lunga e calzettoni. Quei vestiti creati dalla sarta di Bari Vecchia, coetanea di  sua nonna Giuseppina, adattati all’età e al suo tipo fisico, li conservava per partecipare ai matrimoni.
L’unica distrazione di Simonetta e Candida Mihaidetto era quella di andare alla domenica pomeriggio presto in un circolo privato di via Crispi che era in realtà un’associazione culturale fondata dalla loro vecchia professoressa del ginnasio Annamaria Libanotti.
Qui si parlava di letteratura, Dante e musicisti classici come Niccolò Piccinni.
In realtà l’ambiente era popolato da vecchie signore: le ragazze ci andavano perché dopo le riunioni la Libanotti ospitava adolescenti maschi.
In una stanza adiacente, abbastanza  grande,si cimentava al pianoforte e poi suonava sul giradischi dei 45 giri. Le ragazze potevano ballare  a mattonella tra loro, ma (ed era quello il motivo d’interesse) alcune volte e sempre più spesso affluivano all’associazione come accennato  dei ragazzi giovani del liceo scientifico oppure   universitari  del primo o secondo anno portati dalle loro  mamme professoresse.
Piano piano conoscendosi tra loro iniziarono i balli delle coppie “etero” al suono di  Violino Tzigano, Core Ingrato cantate da Luciano Tajoli e anche La Novia di Tony Dallara.
Simonetta non gradiva quella musica e le era stato concesso di portare un paio di suoi 45 giri: l’ultimo Natale i genitori le avevano regalato il tanto desiderato giradischi.
Così’ al suono di Ballata della Tromba di Nini Rosso ma soprattutto Stanotte al Luna Park di Milva era nato, piano piano tra Simonetta e Giovanni Maria, figlio di una anziana insegnante elementare della scuola Garibaldi, un filarino.
Tale piccolo amore però era contrastato dalla rigidità dell’educazione dell’epoca.
Per vedersi, i due giovani dovevano essere accompagnati dal fratello di Simonetta, Alberto, oppure dall’amica Candida.
Inoltre era molto difficoltoso per Simonetta ricevere le telefonato del suo ragazzo.
Siccome la storiella iniziava ad essere contrastata in famiglia (“pensa a studiare, l’anno prossimo hai la maturità!“) i due ragazzi decisero un sistema per comunicare al di fuori di occhi e orecchie indiscreti.
Simonetta voleva comunicare per lettera, ma in casa le avrebbero controllato la posta.
Allora fu stabilito  che Giovanni Maria scrivesse delle missive  all’indirizzo di casa di Candida Mihaidetto.
La ragazza riceveva la visita del postino a domicilio al ritorno da scuola mentre i genitori erano ancora sul posto di lavoro, impegnati   a chiudere il negozio di fruttivendoli che gestivano in via Pizzoli, dalle parti del mare.
Candida avrebbe dunque ricevuto le lettere di Giovanni Maria e le avrebbe consegnate all’amica di mattina presto,  a scuola.
(fine prima parte)
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