Escobar-Il fascino del male: perfetti nei loro ruoli Javier Bardem e Penelope Cruz Cinema 24 Aprile 2018 di Romolo Ricapito E’ volato subito in testa agli incassi Escobar-Il fascino del male (Loving Pablo) coproduzione Spagna-Bulgaria, ma così fastosa e brillante da sembrare una pellicola di produzione americana. Tratto dal libro della giornalista e anchor woman Virginia Vallejo “Loving Pablo, Hating Escobar”, il film è un excursus sulle gesta, gli splendori e i misfatti di Pablo Escobar, celebre narcotrafficante colombiano. L’io narrante è proprio, in questa sceneggiatura, quello di Virginia, impersonata dalla splendida Penelope Cruz che aggiunge il suo glamour a una pellicola impreziosita anche dalla brillante recitazione di Javier Bardem nel ruolo del potente criminale. La prima parte manifesta tutti i crismi di un essere visto quasi come un padreterno, grazie al potere del denaro conquistato illecitamente col traffico di cocaina, che diventa una merce esportata in massa anche negli Stati Uniti. Siamo in piena era Reagan e Nancy, la moglie del presidente, compare in televisione con l’intento di proteggere la gioventù americana dalle droghe tramite l’applicazione di una politica di contrasto al cartello di Medellin. Pablo, che appare tanto spietato con l’esterno quanto protettivo e moralista in famiglia, “insegna” al primogenito che non dovrà mai sniffare cocaina, “come ha raccomandato la signora Nancy in tv”. (“Noi la vendiamo, ma non la consumiamo”). Ma ad essere ancora più ambigua è la sua amante Virginia, brillante giornalista e presentatrice televisiva assetata di soldi e di potere, che ammira Pablo proprio perché ricco, potente e perciò ai suoi occhi affascinante. Ella vuole considerarlo soltanto un imprenditore e costruttore ( grazie al riciclaggio del denaro) e sintomatica a tale riguardo è la scena quando Escobar regala alla sua amante fissa una valigetta piena zeppa di denaro, che ella porterà con sé negli Stati Uniti. La regia di Fernando Leon de Aranoa è ottima, con padronanza dei mezzi tecnici, ma c’è anche una sceneggiatura che sostiene bene il tutto. Di Escobar viene riportato il successo sociale: riesce a influenzare le elezioni dei più “alti” potenti e a farsi eleggere in Parlamento. Ma la voglia di strapotere e di volere eliminare a tutti i costi ogni suo avversario, cioè i politici onesti, tra cui un ministro, giornalisti, poliziotti e rivali etc. lo condannerà a morte. Infatti, dopo che si consegnerà alla polizia soggiornando in una prigione “personale” che si è fatta costruire interamente con i suoi soldi ( in realtà una sorta di nuovo suo quartier generale di illeciti e all’interno del quale commetterà nuovi delitti) le istituzioni, messe in discussione, per non perdere la faccia si alleano con i suoi “nemici” ed Escobar verrà punito con la morte, ormai anatra zoppa a causa della sua vanità. Il personaggio di Virginia reso in maniera ottimale da Penelope Cruz è, se possibile, ancora più perfido di quello dell’amante, del quale, nonostante tutto, continuerà ad “adorare” una parte, quella intima, nonostante la disfatta comune: la donna perderà ogni contratto giornalistico e pubblicitario a causa della sua laison e si ridurrà quasi in miseria. A risaltare come personaggio edificante è Maria Victoria, moglie di Pablo, interpretata in maniera drammatica e convincente dall’attrice colombiana Juliet Restrepo, mentre all’americano Peter Saarsgard è affidato il ruolo dell’investigatore dell’Fbi Shepard. Bardem e Cruz hanno ottenuto una candidatura ai prestigiosi premi Goya. Nonostante tutto, l’opera descrive bene l’ambiguità del “fascino del male”: Escobar, che è stato il criminale più ricco della storia, nella prima parte risulta intrigante, ma nella seconda è giustamente descritto come un uomo crudele e insensibile, il cui unico punto debole sono i figli e la moglie, amata anche nelle difficoltà perché gli fu vicina quando egli era giovane e povero, mentre Virginia rappresenta l’amante bramata perché bella e di successo, ma in fondo considerata alla stregua di una prostituta.