Intervista a Miro Sassolini “l’arte senza tempo” Arte Cultura Musica 26 Ottobre 20181 Novembre 2018 foto di copertina di Cinzia Fabiani-Miro Sassolini di Cinzia Santoro MIRO SASSOLINI-Foto di Angelo Gambetta E’ sorprendente l’unicità di Miro Sassolini, rigorosamente autentico nel suo essere uomo e artista sempre orientato alla sperimentazione, concentrato sull’incontro parola/suono e caparbiamente refrattario ad ogni forma di contaminazione imposta dalla discografia tradizionale. Dal vivo la sua voce è possente e catapulta lo spettatore in una dimensione sonora tra poesia e incanto, in cui frammenti di vita, abbandoni e ricordi prendono magicamente forma. Determinante l’incontro con Monica Matticoli, poetessa dei miraggi e delle suggestioni, dal 2011 complice di un connubio artistico ormai consolidato. L’intervista è frutto dell’incontro con Miro qualche momento prima del concerto tenuto a Leporano la sera del 21 ottobre. Con lui, a prendersi cura delle tracce sonore, il bravissimo videoartista Daniele Vergni. Meravigliosa e inaspettata la versione basso-voce di Siberia affidata alle corde di Antonio Ripa. Il tuo vissuto artistico spazia dall’incontro con Lorenzo Bonechi, alla transvanguardia di Oliva, ai Diaframma, alla collaborazione con il teatro Pecci di Prato, al progetto Van Der Bosch, alle collaborazioni con Monica Matticoli, Daniele Vergni e Cristiano Santini, tanto per citarne alcuni. In quale di questi ambiti ti riconosci maggiormente? Nell’ultimo, nell’incontro con Monica Matticoli, perché è lo step che io stavo aspettando dal momento in cui ho cominciato da giovanissimo a fare sperimentazione vocale e che poi ho interrotto perché sono entrato nei Diaframma. Dall’incontro con Monica ho potuto riprendere un percorso che pensavo dovesse essere un po’ complicato; invece ho trovato una persona con la quale, penso, lavorerò ancora per molto tempo. Con lei c’è una dimensione artistica in cui siamo entrati insieme e in cui ci ritroviamo, ovviamente con qualche scontro, perché abbiamo delle diversità importanti; ma dentro questo “ambiente”, dentro al suono, dentro al corpo per la voce, c’è un rapporto d’amore profondo. “Del mare la distanza” è un disco assolutamente contemporaneo che ha segnato il tuo ritorno alla musica dopo dieci anni. La voce, il testo e la musica sono in perfetto equilibrio. In realtà è “Da qui a domani” il disco del mio reale rientro, l’album precedente, realizzato nel 2012 con Monica Matticoli insieme a Cristiano Santini e Federico Bologna, che è il corpo del disco “Del mare la distanza” cui si sono felicemente aggiunti Gianni Maroccolo e Justin Bennet. MIRO SASSOLINI-Foto di Fabrizio Di Salvio Il tuo lavoro di ricerca è minuzioso, ma lontano dai clamori della discografia “usa e getta”. Quanto costa mantenerti fedele al tuo impegno artistico? Minuzioso, si, perché c’è un rispetto che definirei sacro della parola. Io nasco immediatamente sperimentatore; sin da piccolo ho amato la rumoristica e il suono. Il canto per me è una cosa normale, una dimensione naturale: ho un “Do di petto” naturale e l’orecchio “sublime”. Con la mia voce lavoro dentro la frequenza del suono, compongo con la voce, come mi ha insegnato Demetrio Stratos e quindi faccio tutto con la voce, non ho bisogno di strumenti. Ma questo me lo consente unicamente il tipo lavoro che fa Monica Matticoli, sulle parole, sugli scritti, sulle immagini potenti che mi rilascia. Nel pieno rispetto del testo ho la possibilità di smontarlo come e quando voglio. Mi viene in mente la collaborazione straordinaria tra Battisti e Panella. Panella non cedeva niente: scriveva un verso e quello dovevi cantare. Battisti, pertanto, ha fatto un lavoro pazzesco: ha dovuto reinventare continuamente la parte melodica, che non finiva mai, perché Panella è lunghissimo. Non mi metto al pari di Battisti, ma il nostro lavoro è simile: c’è questo profondo rispetto del melodista per la parola del poeta. Quindi la musicalità, la vocalità, i vocalizzi e gli orpelli vengono dopo; è importante il corpo parola-voce, la capacità della mia voce di veicolare le parole di Monica. Quando questo avviene, tutto il resto è una bella conseguenza. Ciò ci ha consentito di lavorare anche con la poesia di Dino Campana e di Dylan Thomas, due progetti complessi, non facili. Campana in particolar modo, perché a volte sembra abbandonare il testo, sembra “saltare” e ti costringe a cambiare completamente la linea vocale e quella melodica. Preparare un reading di trenta minuti sui testi integrali di Campana ha richiesto ben due mesi di lavoro e la collaborazione con un compositore e polistrumentista di rara competenza e passione come Carmine Torchia. . L’idea, quindi, è quella di portare avanti questo rapporto tra parola e voce, in tutti i nostri lavori. Lo si può trovare sia nel disco “L’essenza dell’io” in cui io canto alcune poesie di Monica tratte dalla sua raccolta “L’irripetibile cercare” , ma anche nei dischi un po’ più commerciali come “Del mare la distanza”. In questa ricerca ci aiuta molto la preziosa collaborazione tecnica del bravissimo Daniele Vergni. Molti musicisti cadono dalle nuvole quando spiego il nostro meccanismo; alcuni di loro non ritengono possibile comporre in assenza di strumenti musicali. Invece lo è, perché la mia voce è uno strumento musicale, io sono uno strumento musicale. Per questo ce l’ho molto con gli pseudo-cantanti, con i talent, con chi illude, con chi distorce e con chi abusa del termine cantante. Tutti cantano: e io, che faccio sperimentazione, che sono un vocalist, cosa faccio? Perché seguo questo percorso e sostengo questa fatica? Perché vengo a Taranto a proporre la mia musica? Ma poi chiedo a me stesso anche perché, a cinquantacinque anni, ho ancora tutta questa energia; e mi dico che, probabilmente, c’è ancora qualcosa che fa parte del mio modo di essere che mi porterà fino alla fine dei miei giorni a fare esattamente quello che faccio adesso. Forse la spiegazione è nella “sete di conoscenza”, come dice Igor Tuveri, per me uno dei più grandi intellettuali italiani. E’ una specie di “malattia” che non ti da mai la possibilità di fermarti, perché sei sempre avanti e hai bisogno di fare qualcosa di nuovo. Adesso sto lavorando a due progetti nuovi e dovrò dedicarmi a questa cosa per i prossimi sei mesi. A volte mi domando anche per chi lo faccia: lo faccio per le persone che vengono qua per ascoltarmi, per quelle cinquanta persone che macinano chilometri per vederci performare Campana, per gli amici poeti, per chi ci ama e, alla fine, forse anche per me stesso. Dove sarà nell’immediato futuro Miro Sassolini e, soprattutto, cosa ci proporrà? Monica Matticoli ha miliardi di idee e ha la capacità di coinvolgermi in progetti sempre nuovi. Non tutti i progetti sono fattibili, ma lei mi ritiene capace di cantare qualsiasi cosa, dalla lista della spesa a Dante. In realtà ho anch’io i miei limiti. Per esempio Campana a me non piace, però l’ho fatto e, nel per formarlo, l’ho rivalutato. Quindi lei ha avuto ragione. Monica è sempre molto lucida e io ho bisogno di persone così, perché sono un creativo e quindi sono dispersivo. Ora faremo un lavoro in cui racconteremo alcune storie di sport, una sua idea che mi è piaciuta e che abbiamo avallato. Non parleremo di sportivi famosi, bensì di “esempi”. Poi lavoreremo su Thomas e anche su un nuovo disco di canzoni che registreremo in Abruzzo. 26 ottobre 2018