Bohemian Rhapsody: il mito di Freddie Mercury è salvo, non altrettanto il film Cinema Cultura 5 Dicembre 2018 di Romolo Ricapito Bohemian Rhapsody diretto da Bryan Singer, regista noto per la saga degli X-Men, ha incassato in soli quattro giorni in Italia la cifra-record di 5.14.602 euro, allineandosi agli Stati Uniti dove le sale che proiettano il film sono state prese d’assalto. Tale successo di massa era prevedibile col mito, cresciuto nel tempo, di Freddie Mercury, del quale questo biopic esplora la vita anche artistica dal 1970 alla morte per Aids, avvenuta nel 1991. In pratica i tempi erano maturi per una rappresentazione sul grande schermo del talentuosissimo cantante, mentre la fama dei Queen, anche a causa della scomparsa precoce del loro frontman, in 27 anni è cresciuta a dismisura. Mercury è nel mito, ma altrettanto gli altri tre componenti della storica band. Il difetto della pellicola, che sarà anche la causa del rapido accantonamento di quest’opera, è quello di volersi rivolgere “volutamente” alla massa, generando da un lato dei contenuti assimilabili appunto da tutti, dall’altro tagliando, nascondendo, censurando e semplificando trame, intenzioni, scandali e l’argomento tabù (e che resta ancora tale, almeno per gli sceneggiatori) dell’omosessualità. Va detto che l’interprete principale Rami Malek, di origine egiziana ma statunitense, è un valore aggiunto in quanto recita benissimo oltre a reinterpretare col canto Mercury. In una parola, è straordinario. Non è esagerato parlare di nomination agli Oscar ma questa performance degna di lode fa a pugni con un andamento piuttosto modesto a livello di “storyboard”, ovvero sembra di trovarsi davanti a una soap opera televisiva. Inoltre, nonostante l’impegno di Malek, in certe scene del primo tempo il Mercury “ricostruito” sembra quasi Mick Jagger dei Rolling Stones anche se va detto che i due lead singers hanno molto in comune, grande voce ma principalmente la trasgressione nel loro dna. Nel film l’elemento trasgressivo”, costituito principalmente dall’omosessualità del soggetto in causa, viene annacquato, facendo apparire Mercury principalmente come un eterosessuale innamoratissimo della fidanzata storica Mary Austin e con qualche curiosità bisex. Anche quando tenta di sedurre quello che diventerà il suo compagno definitivo, Jim Hutton, autore di una biografia pubblicata anche in Italia e nel frattempo pure lui scomparso, sembra un timidone alla prima cotta. Di pari passo è stata operata una scelta sul materiale riguardante la carriera discografica del gruppo. Ma ovviamente non a tutti interessava nei dettagli, dunque è stato chiamato l’attore Mike Myers protagonista della saga Austin Powers per rappresentare un fantomatico discografico “contrario” ad alcuni aspetti tecnici e innovativi della band, come la pubblicazione del singolo Bohemian Rhapsody, che durava ben 6 minuti (“ma Mac Arthur Park, – hit precedente di un altro artista pubblicato anni prima- ne durava 7”- è quanto dice un membro dei Queen). Si è dunque proceduto per tentativi, offrendo un prodotto generico che non accontenta i fans dei Queen e neppure i critici di professione e che nel tentativo di diventare un’opera di grande successo taglia e cuce, va ribadito, con un risultato finale quasi imbarazzante, almeno per quanto riguarda la semplicità (voluta) della sceneggiatura. Infatti semplificando e contro-semplificando si è banalizzata la materia, dimodoché la recitazione di Malik svetta sempre di più mentre Bohemian Rhapsody appare soltanto come un film costoso, gonfiato da un’enfasi inutile e che grazie almeno a una regia sufficientemente accorta si differenzia da un banale prodotto televisivo. Va ricordato comunque, come nel caso dell’altro famoso pianista “gay” Valentino Liberace (il film era Dietro i Candelabri, destinato al piccolo schermo) il risultato di questo film per la tv fu talmente buono che in Italia venne proposto anche nelle sale (forse perché il protagonista era Michael Douglas?). Tornando a noi, Bohemian Rhapsody sembra un film preparatorio alla maestosa e bellissima lunga sequenza finale, quella dell’esibizione al concerto del Live Aid che è stato riprodotto in maniera straordinaria e vede Rami Malik essersi conquistato idealmente la sua prima nomination all’Oscar tramite le sue riuscite movenze e la voce (reale) davvero simile all’originale. Per quanto riguarda il resto, sono bravi e ben scelti gli altri attori nei panni dei Queen, ovvero Ben Hardy (ex modello e attore della soap East Enders, X Men Apocalisse al cinema) Joseph Mazzello, Gwylym Lee e Lucy Boynton che è la fidanzata storica di Feddie Mercury, ovvero colei che erediterà per volere dell’artista la metà del suo patrimonio. Bohemian Rhapsody svolge alla fine uno scopo didattico, ovvero narrando come un bignamino la storia di un gruppo rock epocale che i giovani che non hanno avuto la possibilità di conoscere. Costoro si avvicineranno alla loro musica creando ulteriori introiti in diritti d’autore per la formazione rimasta. Ma rimane alla fine un’opera incompleta, irrisolta e ordinaria pur se di piacevole visione, soprattutto nelle scene che vedono l’attore e il personaggio identificati in una maniera molto prossima al “vero” Farrokh Bulsara (il vero nome di Mercury). Mercury, di origine asiatica e indiana, nacque a Zanzibar , isola appartenente alla Tanzania e iniziò a farsi chiamare col nomignolo Freddie negli anni della scuola primaria, frequentando un convitto a Pancghani, India. Completata la scuola tornò a Zanzibar nel 1962 ma a causa di sommovimenti politici la famiglia due anni dopo si stabilì nel Middlesex, Gran Bretagna. 5 dicembre 2018