Noi di Jordan Peele : secondo horror “razziale” con l’apporto di due premi Oscar Cinema Cultura 6 Aprile 20196 Aprile 2019 di Romolo Ricapito Lupita Nyong’o e Jordan Peele Noi (Us) di Jordan Peele amplia le tematiche del film precedente Scappa-Get Out presentato due anni fa in anteprima al Teatro Petruzzelli in occasione del Bifest. Con quella pellicola, candidata all’Oscar nel 2018, Peele vinse una statuetta non come regista ma per la migliore sceneggiatura originale. Adesso oltre a dirigere ha ancora sceneggiato il tutto e finanche prodotto. Un colpo di genio è stato quello di utilizzare la bellissima e bravissima Lupita Nyong’o, anche lei premiata con l’Oscar per 12 anni schiavo , film del 2013 (migliore attrice non protagonista) questa volta nei panni di Adelaide, la protagonista. Costei da bambina scomparve per 15 minuti all’interno di un luna park, riportando sintomi da stress post traumatico (era il 1986) . Al giorno d’oggi Adelaide è sposata con Gabe Wilson (Winston Duke) e ha due figli, Zora (la maggiore) e il piccolo Jason. E’ la classica famiglia felice americana benestante, che si reca in una casa di vacanza al mare. Il posto è Santa Cruz, cittadina della California. I Wilson rappresentano l’alta borghesia di colore e incontrano in spiaggia i Tyler, una coppia di “bianchi” ancora più ricchi, loro amici. Basti dire della loro casa ipertecnologica, che si vedrà più avanti, dove essi vivono con le gemelle adolescenti, piena di comfort. Ad esempio soltanto pronunciando il nome e l’interprete di una canzone, essa parte diffondendosi nell’ambiente, in una sorta di filodiffusione futuristica. Ma Santa Cruz è un luogo dove Adelaide non vorrebbe mai trovarsi:è proprio qui che avvenne il famoso trauma. Va detto che il tema del doppio la fa da padrone, come del resto in Scappa-Get Out. Nella pellicola precedente era più evidente la percezione razziale e il confronto con i bianchi, che erano malvagi. Si parla però di in questo nuovo contesto di doppelgänger termine tedesco che denomina il “gemello maligno”. Spuntano fuori infatti dei “doppioni” dei protagonisti in salsa malvagia. Il confronto con tali invasori che penetrano nella loro casa è aspro e fatto di lotte e sangue. Ma la versione “malefica” di Adelaide parla, anche se con una voce da oltretomba e spiega che mentre l’alter ego originale, ossia la “buona”, era sfamata dai genitori con ogni sorta di cibo prelibato e squisito, a lei veniva imposta la carne di coniglio, grezza e sanguinolenta. Sembrerebbe che il doppione della protagonista rivendichi le sue origini “proletarie” in una sorta di invidia sociale. I suoi giocattoli erano brutti e taglienti, quelli della Adelaide “reale” invece erano balocchi moderni e costosi. Questa chiave di lettura è una delle tante, ma forse quella pregnante, dunque il benessere e il lusso non sono graditi a questi “sosia” che abitano nelle fogne, o in oscure gallerie. Anche i Tyler ricevono la visita dei loro “gemelli”: ma a loro non va poi così bene. Elizabeth Moss (Kitty) e il coniuge Josh (Tim Heidecker) vengono puniti con la massima crudeltà così come le loro due figlie dai terribili e rispettivi “sosia”. La loro vita dorata non era gradita ai “mostri”, ma probabilmente nemmeno al regista, che mette alla berlina le operazioni di chirurgia facciale alle quali il personaggio di Kitty Tyler si sottopose. Va detto che soprattutto nella prima parte Jordan Peele riesce a catturare con una storia tutto sommato semplice, grazie alle sue tante invenzioni e a un tipo di violenza “elaborata” tramite la quale la Nyong’o è chiamata a esibirsi con coreografie sempre più ardite, al pari dell’attore coprotagonista e dei due figlioli. La seconda parte è più raffinata, o pretenziosa:: si vagheggia un popolo di “doppi” che scatena una sorta di rivoluzione, ma anche una catena umana nel sud degli Stati Uniti. La prima (la rivoluzione) uccidendo, la seconda unendo le mani in colline e canyon in una rappresentazione pacifista. Qualcosa però sfugge di mano a Peele nell’ultima mezz’ora. La complicazione della sceneggiatura, che diventa sempre più legata a forme di rivendicazione sociale e quasi filosofica inerente una fantomatica società parallela, inizia a mostrare la corda, così come le scene strampalate ricche di conigli, che ricordano i film più strani di David Lynch. Le sequenze di lotta infinita con i “doppi” iniziano a stancare e la Nyong’o è costretta a una sorta di maratona a base di lotta greco romana, karate e finanche danza classica. Da bambina infatti il personaggio di Adelaide studiò da étoile. Tale disciplina è fonte di ridicolizzazione per l’Adelaide-bis. Va detto che sussistono delle scene che vorrebbero essere pseudo-comiche e la famiglia dei neri cita più volte Mamma ho perso l’aereo in un tentativo di sdrammatizzazione. Il finale è incredibile ed è oggetto di interpretazione, Non si capisce se Adelaide sogni ad occhi aperti rivelando un folle retroscena risalente al prologo (1984). Il film Noi (Us) si può considerare riuscito ed è secondo in classifica negli Usa dopo Dumbo. I suoi tanti contenuti però ne fanno un horror atipico che non piacerà alla abituale platea dei ragazzini , ma a un pubblico adulto. Nella colonna sonora si ascolta Les Fleurs di Minnie Riperton (1947-1979) che conclude questa odissea di incubi. 6 aprile 2019