Alessandro Baricco legge Novecento: al Petruzzelli uno spettacolo troppo dichiaratamente autoreferenziale Cultura Teatro 26 Aprile 201926 Aprile 2019 di Romolo Ricapito Ha concluso la stagione di prosa del Teatro Petruzzelli a cura del Teatro Pubblico Pugliese con il Comune di Bari lo one man show Novecento letto da Alessandro Baricco, in scena il 23 e 24 aprile. Trattasi del testo per il teatro del’94, un monologo, scritto dallo stesso Baricco e reso celebre anche per il film che ne fu tratto da Giuseppe Tornatore nel ’98,”La Leggenda del Pianista sul’Oceano”. Baricco che ha concepito la produzione con Tommaso Arosio, Eleonora De Leo e Nicola Tescari voleva riportare in auge, diciamo così, questo suo successo, ma letto con la propria voce e non recitato da altri. E’ una scelta però oggetto di disputa, dalla quale ci dissociamo. Questo perché la figura dell’intellettuale che si vuole rendere “protagonista” genera da sempre ibridi e confusione, ma perlopiù noia. E qui non si fa eccezione. Lo show prende avvio con una musica solenne e un rumore di pioggia. Baricco siede su una panca di ferro e appoggia i piedi su una sedia,sempre in ferro, in un’immobilità costante. E’ la storia di un viaggio perennemente interiore di Novecento, il protagonista, che vivrà sempre su un piroscafo, il Virginia. Il narratore non è Novecento, ma un musicista che “scopre” il talento dell’altro. “Avevo 17 anni e di una sola cosa mi fregava nella vita: suonare la tromba”. E’ il gennaio 1927, Durante la narrazione inizialmente si illumina il teatro. Si parla del ragtime, ma anche del fatto che il Virginia assomigli al Titanic. Musica jazz viene usata come sottofondo, quella registrata da Nicola Tascari. Tale colonna sonora viene usata per rendere più accessibile l’ascolto. Alessandro Baricco La trovata di illuminare il teatro, sia pure con luci soffuse, che verrà replicata più avanti, è giusta registicamente perché attenua la presenza asfissiante dell’attore-lettore-narratore che man mano diviene angosciante. La voce di Baricco è a tratti graffiata, esercitata, con una buona dizione, ma monocorde. Il bambino lasciato in una scatola di cartone sul pianoforte a coda del transatlantico è un rimando alla gioventù spesso abbandonata e agli orfani del tempo, mentre il testo si occupa delle differenti classi sociali che popolano la nave, compresi i poveri e gli emigranti, oltre ai ricchi della prima classe. Il pianoforte è l’oggetto magico che affascina l’orfano. Tramite un singolare transfert e un imprinting il bambino diviene un musicista talentuoso e autodidatta. Le ispirazioni di un ambiente circoscritto diventano amplificate nello sviluppo della personalità del giovane che nella sua predisposizione allo strumento sviluppa anche una sorta di asocialità. Baricco vorrebbe dare una coloritura al testo con un lieve gesticolare, ma rientra subito nella rigidità della narrazione, concentrandosi sul libro. La parola “culo”, presente più volte nel testo, che contiene un turpiloquio blando, fa sorridere ogni tanto un pubblico attento, ma verrebbe da dire anche, a tratti, rassegnato e supino. E’ evidente come la scelta “culturale” di presentarsi in scena si attesta come un monumento a sé stesso e dunque l’operazione di evidente arroganza e protagonismo non può essere promossa, ma deve essere per onestà intellettuale bocciata in pieno, nonostante la qualità del testo, che ad ogni modo è retorico e già sorpassato. Il nome, o soprannome del protagonista, Novecento, che per intero si chiama Danny Boodman T.D. Lemon Novecento (Danny Boodman è il nome mutuato dal marinaio che l’allevò) è un nomen omen. Novecento, ossia, come il secolo che si vuole celebrare. Le “zampe del pianoforte”, l’enorme “sapone nero” (pianoforte) sono alcune perle del testo. Si è voluto unire la fantasia e l’immaginazione che si impadroniscono di un personaggio-limite, simbolico e claustrofobico. Nel secondo atto Baricco è in piedi all’interno di un cubo bianco (illuminato su pavimento) mentre il resto è illuminato col verde. Novecento nella seconda parte, ancora più insostenibile della prima, diventa soggetto di curiosità morbosa, culto e irrisione. Viene indetta una gara con un altro portento della musica. Accorrono i giornalisti. Del ragtime si dice: “c’erano tutti i bordelli d’America in quella musica, quelli di lusso”, come si evince anche dal film Pretty Baby di Louis Malle. Il blues invece veicola “tutto il calore dei negri del mondo”. In sostanza si è voluto riprodurre un’epoca attraverso suggestioni”richiamate” che adoperano generi affermatisi sempre più a livello mondiale dopo l’ultima guerra, i quali inizialmente venivano considerati musica per minoranze, gestita da altrettante minoranze. Il pianista è l’epitome di colui che si appropria dei generi musicali creando arte e colmando le sue carenze affettive compensandole con la musica che diventa Madre e passione totalizzante. 25 aprile 2019