Le Conseguenze economiche dell’epidemie: effetti della globalizzazione Attualità Economia 21 Aprile 2020 di Nicola Cristofaro Ogni epidemia si porta dietro gravose ricadute nella società, nella politica, nell’economia. Gli effetti non sono limitati ad un solo Stato, in specie quando si tratta di pandemia. David Ricardo- economista Prima di affrontare il tema occorre richiamare alcuni principi alla base del commercio internazionale. Si tratta della cosiddetta teoria dei costi comparati, elaborata dal Ricardo nel 1817. La teoria in questione asserisce che i Paesi commerciano tra loro perché il lavoro ha diversa produttività tra i Paesi. I vantaggi derivano da un migliore impiego di risorse date e già precedentemente occupate. La globalizzazione, se si vuole, ha come ragione economica, lo scambio tra paesi con diversa produttività del lavoro. Con una differenza, sostanziale: quella teoria liberista prende in esame la produttività, la globalizzazione invece i costi di manodopera, che non sono uguali tra i paesi. Non solo, ma siccome un qualsiasi prodotto, dal vestito all’automobile, incorpora diritti, la diversa incidenza degli stessi tra i vari paesi influisce sul costo del prodotto. Spieghiamoci: se in uno Stato occorre rispettare una impegnativa tutela dell’ambiente, quelle produzioni si sposteranno altrove. Così come si dislocheranno in altri Stati quelle produzioni con alta intensità di lavoro, ove i rapporti sindacali, le tutele specifiche (orari, riposi, ferie, cassa integrazione, ecc.) non sono rispettati nello stesso modo. In questo caso il commercio internazionale è influenzato non da costi con diversa produttività, ma da costi in assoluto inferiori. La produttività, infatti, è data dalla quantità di prodotto ottenuta nell’unità di tempo. Il costo di manodopera invece, è l’incidenza sul singolo prodotto. Si ricercano i Paesi ove il costo unitario della manodopera sia inferiore, a parità di prodotto. Questa ricerca è resa possibile dalla globalizzazione, cioè dalla mancanza di divieti al commercio internazionale. Usiamo questo termine ai fini economici, trascurando per il momento altri significati. Quello corretto sarebbe stato la esternalizzazione delle produzioni, in outsourcing (cioè l’appalto a una società esterna di interi processi produttivi) discarica . degrado ambientare Il significato della globalizzazione consiste – dal punto di vista del profitto – nello spostare la produzione in paesi in cui lo sfruttamento di esseri umani, animali e natura può avvenire senza un eccessivo handicap statale, per qualsiasi motivo. Si rivolge specificamente ai paesi che trascurano o devono trascurare la cura delle persone e dell’ambiente in un modo o nell’altro. E anche se margini di profitto molto grandi vanno a fondi, manager e intermediari dubbi, si deve dire che la nostra cosiddetta prosperità si basa almeno in parte sullo sfruttamento brutale e sul degrado ambientale – una prosperità che per inciso raggiunge solo metà della popolazione mondiale. Con il coronavirus l’umanità dovrebbe riflettere se continuare con lo status quo, oppure rompere gli schemi in uso, per accrescere il livello di partecipazione dei cittadini del pianeta, controllare le delocalizzazioni delle produzioni, chiedere il rispetto degli stessi diritti, anche dell’ambiente, atteso che la violenza perpetrata contro il Pianeta, e la enorme velocità di spostamenti umani, costituiscono la genesi dello sviluppo e della diffusione del virus malefico. Per cui, gli Stati dovrebbero rivedere le proprie attività produttive, evitare di spostare produzioni strategiche, quale può essere, banalmente, il confezionamento delle mascherine, che non richiedono una particolare tecnologia. Dunque, le analisi vanno affrontate a medio e lungo termine, partendo dai provvedimenti a breve. Quelle a breve intervengono primariamente sulla domanda: fare in modo che il consumo non si riduca, perché se non si compra, non si produce. Tutti gli Stati stanno provvedendo a rinforzare le capacità di spesa dei consumatori, anche ai fini della sopravvivenza materiale. L’Italia è partita con vari bonus, elargiti a quasi tutte le categorie di lavoratori autonomi e professionisti, oltre alla cassa integrazione straordinaria, agli inoccupati, o lavoratori in nero, perché anche quei cittadini risentono della crisi, dovuta al blocco della circolazione delle persone. Naturalmente si tratta di un “tampone” che supplisce agli elementi primari. Non si può pretendere che per un mese, o più, si debba conservare lo stesso tenore di vita ante epidemia. La questione si sposta sulle produzioni, e sulle modalità di reperimento delle risorse finanziarie necessarie per alimentare le due politiche, di sostegno dei consumi, e dell’avvio delle lavorazioni. Si osserva che per il momento, si trascurano le politiche di ripensamento della struttura produttiva del Paese, necessitando di una politica di medio termine molto complessa, che richiede la partecipazione di più attori pensanti, non solo nazionali, come si vedrà. Infatti, il grande capitale, i manager, i fondi pensione, le cosiddette élite, esercitano vischiosità nella modifica della situazione attuale, in quanto per loro tutto deve essere sotto controllo, e il conservatorismo è una caratteristica dell’élite che si atteggiano a riformiste, e che si qualificano erroneamente liberali. L’abbandono da parte dello Sato di gestire alcune attività chiave della struttura di uno Stato moderno, quale la sanità, privatizzandola in parte, è dettata da quelle forze finanziarie che dovrebbero garantire l’economicità, l’efficienza, l’efficacia. L’idea, pensata da tempo, è partita da Reagan e della Tatcher. Il monetarismo ha messo di suo, finanziarizzando l’economia, sul presupposto che fornendo denaro ai consumatori, si sviluppa la produzione. L’esempio concreto è quello dei mutui subprime. L’apertura dei mercati mondiali, con il WTO (organizzazione mondiale del commercio), dei primi anni ’90, ha redistribuito le produzioni nel mondo, privilegiando quei paesi, le cui pratiche, come già detto, sarebbero considerate fuori legge nello stato nazionale (mancata tutela del lavoro, dell’ambiente, delle libertà democratiche). Però, questa è la gravità della questione, tutti comprano quei prodotti perché costano di meno. I Paesi importatori reagiscono spostando le attività in quelle più avanzate nella ricerca, fino a quando anche i paesi emergenti, si sono attrezzati nella ricerca, superando in tanti settori quelli dei paesi che prima erano esportatori di tecnologie. Questo non ha risparmiato neanche quelli strategici, cioè quelle della gestione del sistema della informazione digitale, della raccolta dei dati, dell’utilizzo degli stessi, ai fini della difesa, dei trasporti, della finanza, e, in definitiva, della democrazia. Questo avviene anche l’acquisizione del capitale sociale di quelle aziende strategiche. Lo scambio delle partecipazioni societarie tra società residenti in vari paesi canaglia, cioè quelli non trasparenti, consente il cambio del potere di controllo delle stesse. Per cui, sotto questo profilo, la decisione di introdurre la golden share, che consente allo stato di controllare le vendite dei pacchetti azionari, e di esercitare il diritto di prelazione, va nella giusta direzione. Questo provvedimento è stato inserito nell’ultimo Decreto legge del mese di marzo. Nel prossimo articolo saranno esaminati gli altri interventi di politica industriale. Insieme con le fonti finanziarie di approvvigionamento, e della funzione della UE sia per rimodulare le politiche industriali degli stati europei. Infatti, se l’Europa è partita come mercato comune, come strumento evitare le guerre, non può e non deve tirarsi indietro nell’amalgamare le politiche industriali, e, per converso, quelle finanziarie, che ne costituiscono l’anima portante. L’Euro è moneta unica, e la moneta è lo strumento principe per superare ed addolcire le crisi. Non deve essere una camicia di Nesso, solo per bieco egoismo di alcuni Stati. Pertanto, oltre agli effetti delle scelte operate, verranno considerate le fonti finanziarie nel contesto europeo. 21 aprile 2020