Cocifisso nelle scuole pubbliche: 10 anni circa dalla pronuncia della Corte EDU sul “caso Lautsi”. I fatti Cronaca Giustizia 27 Aprile 202027 Aprile 2020 di Sabrina Pasquarelli A quasi 10 anni dalla pronuncia della Corte EDU sul “caso Lautsi”: ecco come sono andati i fatti Sempre più spesso si sente parlare di controversie in merito all’uso dei simboli religiosi, come il velo islamico o la croce cristiana, tanto da parte di individui quanto da parte di enti pubblici. A tal proposito, l’Italia è stata protagonista di un dibattito riguardante la liceità dell’affissione del crocifisso in una scuola pubblica: il famoso “caso Lautsi”. I ricorrenti sono Soile Lautsi, cittadina italiana di origini finlandesi e i suoi due figli, che nell’anno scolastico 2001-2002 frequentavano l’istituto ”Vittorio da Feltre”, scuola pubblica ad Abano Terme (Padova), dove, in ogni classe, era affisso un crocifisso in virtù di due Regi Decreti del 1924 e del 1928, rispettivamente per le scuole elementari e per le scuole medie. Nell’aprile 2002 la Signora Lautsi chiese alle autorità scolastiche di rimuovere questo simbolo, ritenendolo contrario ai propri principi religiosi ma il Consiglio di Istituto respinse la sua richiesta. Dunque, nel giugno 2002 fece ricorso al TAR del Veneto, lamentando la lesione del principio di laicità dello Stato e la violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza), 19 (libertà di religione), 97 (imparzialità nella PA) della Costituzione. Nel marzo 2005 il giudice amministrativo respinse il ricorso della Signora Lautsi, affermando che l’esposizione del crocifisso non vìola il principio di laicità in quanto il crocifisso non ha significato esclusivamente religioso ma esprime anche altri valori condivisi da tutta la nazione. Soile Lautsi, Giugno 2010 La signora Lautsi, perciò, ricorse in appello al Consiglio di Stato, che rigettò anch’esso l’istanza confermando la decisione del TAR del Veneto. Esaurite così tutte le vie di ricorso interne, presentò ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, dinanzi alla quale si sono svolti due gradi di giudizio: Il primo presso la Camera della Corte, che con sentenza del 3 novembre 2009 ha dato ragione alla ricorrente, condannando l’Italia ad un risarcimento di 5.000 euro alla Lautsi per danni morali; Il secondo presso la Grande Camera della Corte, che con sentenza del 18 marzo 2011 ha ribaltato la decisione assunta dalla Camera. Di seguito saranno esposti i parametri normativi invocati dalla Signora Lautsi dinanzi alla Camera e alla Grande Camera della Corte. L’esposizione del crocifisso nelle scuole comporta: la violazione dell’art.2 del primo Protocollo addizionale alla CEDU, che sancisce il diritto all’istruzione e il diritto dei genitori di educare la prole secondo le proprie convinzioni filosofiche e religiose; la violazione dell’art.14 della CEDU (divieto di discriminazione); la violazione dell’art.9 della CEDU (libertà di pensiero, coscienza e religione). Per quanto concerne le argomentazioni addotte dalla signora Lautsi, quest’ultima ritiene che: il crocifisso abbia un significato esclusivamente religioso; l’esposizione per legge del crocifisso nelle aule di una scuola pubblica rappresenti un vantaggio e un privilegio per la Chiesa Cattolica; tale situazione consenta l’ingerenza statale nell’esercizio della libertà di pensiero, coscienza e religione da parte del singolo e impedisca di educare i propri figli secondo le personali convinzioni religiose; le leggi che impongono l’esposizione del crocifisso costituiscano il retaggio di uno Stato di natura confessionale (fa riferimento ai Patti Lateranensi del 1929 con i quali il Cattolicesimo divenne la religione di Stato, poi eliminati dagli Accordi di Villa Madama del 1984); il crocifisso e la sua esposizione nelle scuole induca gli studenti (soggetti le cui capacità critiche non sono ancora pienamente sviluppate) a ritenere che il Cattolicesimo sia una sorta di “religione di Stato”; uno Stato laico debba essere neutrale ed equidistante da tutte le religioni. Relativamente alle argomentazioni del governo italiano: Davanti alla Camera della Corte, il governo afferma che: il crocifisso non è un simbolo esclusivamente religioso ma trasmette ulteriori valori in cui si riconoscono anche i non credenti, connessi alla cultura, alla storia e alla tradizione della nazione; il crocifisso è semplicemente esposto per cui non lede il diritto dei genitori di educare la prole secondo le proprie convinzioni religiose; i programmi scolastici sono critici, non influenzati dal Cattolicesimo e garantiscono il pluralismo; l’ora di religione non è obbligatoria. Davanti alla Grande Camera della Corte, alle suddette argomentazioni, il governo aggiunge due motivazioni: Insiste sulla mancanza di un comune consenso europeo sul tema, per cui ogni Stato è libero di decidere discrezionalmente; Sostiene che il concetto di laicità non necessariamente debba coincidere col concetto di neutralità. In altre parole, la laicità non va intesa come equidistanza da tutte le religioni o assoluta neutralità, cioè assoluta assenza di ogni rapporto dello Stato con la religione, come avviene in Francia. Lo Stato può avere invece un rapporto con la religione senza che questo però giunga a ledere il principio di laicità. La Corte europea dei diritti dell’uomo nella prima sentenza decide di condannare l’Italia, dando quindi ragione alle argomentazioni addotte dalla signora Lautsi. Esaminando invece le argomentazioni proposte dal governo italiano, risponde punto per punto: Afferma che il crocifisso ha un predominante significato religioso; Il fatto stesso che il crocifisso sia esposto comporta che gli studenti crescano nella convinzione che lo Stato abbracci quella determinata confessione religiosa. Il governo italiano chiede allora il rinvio alla Grande Camera della Corte, ritenendo la sentenza del 2009 lesiva della libertà religiosa individuale e collettiva, come riconosciuta dallo Stato. La Grande Camera accetta la domanda di rinvio e nella seconda sentenza valorizza il fatto che l’apposizione del crocifisso nelle scuole non sia associata a forme di indottrinamento nei confronti degli alunni, essendo il crocifisso un simbolo religioso passivo e risultando assente l’insegnamento obbligatorio della religione cristiana. Inoltre, è riscontrabile una certa tolleranza da parte delle autorità scolastiche verso altre religioni e altri simboli religiosi egualmente utilizzati dagli studenti. 27 aprile 2020