Bagdad: dalla guerra del Golfo è nato il fondamentalismo islamico e l’Europa stava a guardare. Attualità 8 Marzo 20218 Marzo 2021 di Cinzia Santoro Quando penso a Bagdad rivedo la prima guerra del Golfo nel 1990 e la seconda nel 2003. Il cielo livido rischiarato dai missili che colpivano la terra irachena. Ma negli schermi televisivi, in diretta tv, non si vedevano gli edifici distrutti né si contavano i morti, i feriti e i sopravvissuti. L’Europa guardava senza alcun senso di colpa, quasi a ripetere che quel conflitto non ci riguardava. Ma oggi abbiamo compreso che da quella guerra è nato il fondamentalismo islamico. Il terrorismo, prima con Al-Qaeda e poi con l’Isis, trova terreno fertile in quella tragedia. Generazioni di giovani orfani, vedove e disabili, per non parlare dei figli di Daeş sono l’espressione massima della spirale senza fine di “odio rivalsa odio”. La convivenza multietnica iraqena, formata dai cristiani d’oriente ( assiri, caldei, siriaco ortodossi, armeni) che ancora oggi parlano aramaico, la lingua di Gesù, dai mussulmani sciiti e sunniti, dagli Yazidi, dai Mandei, dai Curdi è stata colpita in maniera indelebile. Da venerdì Papa Francesco è in quella terra. Ha visitato a Bagdad la Cattedrale di Nostra Signora della Salvezza, dove nel 2010 quarantotto fedeli cristiani morirono in un un’attentato islamista, tra le vittime tanti bambini. Ma dietro il numero delle vittime quali storie si celano? Quanti visi, sguardi, mani non esistono più? Tra i sopravvissuti c’era Abu Elia, quella domenica perse nell’esplosione sua moglie e i suoi due bambini. Da quel giorno Abu Elia è soprannominato il padre dei martiri e vive in una casa di accoglienza a Bagdad circondato dai ricordi e dagli amici anche mussulmani che vanno a tenergli compagnia. Il papa ha ricevuto tra le mani “un prezziario” delle bambine vendute all’Isis in questi anni, da uno a nove anni il Califfato acquistava le bimbe a 172 dollari, dai dieci anni ai venti le ragazzine perdevano valore e venivano quotate 130 dollari. Immaginiamo cosa si possa provare a diventare schiave sessuali, mentre il mondo occidentale resta a guardare. Sentiamo l’urlo di dolore di questi esseri umani vessati. La presenza del pontefice accanto alle altre figure religiose accende uno spiraglio di luce, porta all’ attenzione pubblica la realtà quotidiana degli uomini e delle donne iraqene. Numerose le obiezioni alla presenza di Francesco in Iraq, ma lo stesso ha detto chiaramente ai giornalisti presenti sull’aereo, che il papa doveva andare. ” Sono il pastore della gente soffre”. Ora che i riflettori si sono accesi su questa terra martoriata nessuno potrà dire di non conoscerne la storia. E riconosciamo a Francesco il suo impegno a dare un volto e una voce a un popolo che ha pagato sulla propria pelle la scellerata politica economica globale. 07 marzo 2021