Ginevra Di Nicola una donna una storia lunga una vita. Attualità 17 Gennaio 202417 Gennaio 2024 di Cinzia Santoro Ginevra Di Nicola nasce a San Benedetto del Tronto, marchigiana volitiva e tenace è oggi Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato e Gran Maestro della Gran Loggia Iniziatica Esoterica. Laureata in Scienze Religiose è stata ordinata diacona nell’ Inclusive Anglican Episcopal Church. Diplomata in violino, pianoforte e canto lirico ha calcato i palcoscenici italiani della musica lirica. Balzata agli onori della cronaca nel 2016, per aver denunciato le discriminazioni da orientamento sessuale quando era direttrice artistica del Teatro Serpente Aureo di Ascoli Piceno, dove ha subito palesi ostilità quando era stato reso pubblico il suo percorso di transizione per divenire donna. La vita di Ginevra è paragonabile alle pagine di un romanzo avvincente la cui protagonista è l’archetipo femminile di Madre, Fanciulla, Anima, Dea, Sacerdotessa e Strega. Una storia di una donna che con tenacia ha superato gli ostacoli restando fedele alla sua essenza. L’intervista mi permette di incontrare Madre Ginevra e di salutare con piacere Madre Maria Vittoria Longhitano, prima vescova italiana dell’Inclusive Anglican Episcopal Church. L’intervista. Teologa, manager in ambito sanitario, un passato nel mondo della lirica e Sovrano Gran Commendatore Gran maestro della Gran Loggia Iniziatica Esoterica di Chieti, chi è Ginevra Di Nicola? Ho sempre avuto questa certezza, io sono una donna. Ho quarantotto anni e sono nata a San Benedetto del Tronto da una famiglia cattolica. Non ho mai dubitato del mio essere. Lei fin dalla più tenera età si sente donna, ma all’anagrafe non lo è. Quando inizia il processo di transizione? È iniziato il giorno in cui sono nata e all’epoca quando ero adolescente era difficile immaginare che ci fosse un intervento risolutivo al mio problema. Ovviamente crescendo mi sono informata e ho iniziato il mio percorso. È stato un estremamente difficile perché potrei dire che le persone sono cattive ma non voglio affermare questo. Preferisco pensare che le persone non siano preparate, purtroppo non c’è una pratica di normalità su questa situazione e quindi tutto ciò che non si ritiene normale fa paura. Partendo da questo presupposto ci sono state situazioni molto complicate però avendo un carattere piuttosto pragmatico ho usato l’ironia per affrontare il dolore e spesso ho detto a chi non mi accettava: “Non ti va bene? Ok girati dall’altra parte”. Non ho mai permesso a nessuno di limitare la mia libertà. Se a qualcuno non andava bene la situazione non ero io che devo allontanarmi ma loro. Lei viene da una famiglia cattolica che le da piccola un’educazione religiosa molto rigida. Prima di intraprendere la transizione lei ha chiesto l’autorizzazione al suo vescovo? In realtà non ho chiesto l’autorizzazione perché mi servisse l’approvazione di qualcuno ma ho voluto mettermi al riparo da strali familiari in modo che non potessero avere nulla da dire per la decisione che avevo preso. Quindi mi sono presentata al vescovo con la mia cartella clinica con la diagnosi di disforia di genere e ho detto: “Eccellenza questa è la mia patologia, lei deve dirmi se mi autorizza a curarmi o se devo continuare a stare male. Me lo deve mettere per iscritto o nell’uno o nell’altro verso”. Ovviamente il vescovo mi ha autorizzata a sottopormi all’intervento a nome della chiesa. Dopo l’intervento è stato modificato anche il mio certificato di battesimo. Durante gli anni della transizione ha subito discriminazioni? Sono nata a San Benedetto del Tronto, una piccola comunità e ho vissuto in quella cittadina durante gli anni 80 e 90. La società era completamente diversa da quella odierna e non era certo facile farsi accettare. Un episodio simbolo della società in cui vivevo è legato al ricordo di una serata in con i miei più cari amici. Era la fase terminale della terapia ormonale che avevo iniziato due anni prima. Ero una giovane donna attraente, una bella ragazza come tante. Mi ritrovai in un locale a San Benedetto del Tronto con i miei amici per mangiare una pizza. Entrai e mi avviai in fondo al locale che era affollato e molto grande. Trai i tavoli passai accanto a un gruppo di adolescenti e tra loro c’era una ragazza molto in carne che con la sua amica, guardandomi si mise a ridere indicandomi palesemente. Io mi fermai, la squadrai e osservandola e le dissi: “Tesoro hai visto me e hai visto te, credo non ci sia altro da dire”. Al tavolo tutti i suoi amici scoppiarono a ridere mentre la ragazza non proferì parola. Ecco questo è stato il mio modo di affrontare gli anni della transizione. A testa alta con dignità. Erano gli anni 90, con una realtà molto chiusa e ho ancora un ricordo di una ragazza mia concittadina, più grande di me che fece l’intervento prima, lei decise di trasferirsi a Milano. Io mi sono rifiutata di andare via. Tutta la transizione l’ho affrontata a casa tranne l’ultimo periodo in cui lavoravo a Venezia perché era stata assunta come educatrice psicopedagogica in una casa formativa mamma e bambino, che dipendeva dalla curia vescovile. Poi feci l’intervento a Londra, perché mi ero informata sulla professionalità dell’equipe chirurgica. In Italia c’erano solo tre centri specializzati, uno a Roma al San Camillo, l’altro al Cardarelli di Napoli e uno a Trieste, le liste d’attesa superavano i quattro anni. Il servizio sanitario nazionale copriva solo il costo della vaginoplastica il resto era a carico della paziente. Cosa ha provato dopo l’intervento? Sembrerà strano per me era una cosa talmente normale che sembrava di essere andata dal dermatologo a togliere un brufolo. Non soffrii mai di scompensi ormonali o altro. Una cosa mi colpi tantissimo, per poter accedere all’intervento ci voleva l’autorizzazione del tribunale dopo due anni di psicoterapia, con la valutazione di un consulente tecnico d’ufficio, ti rigiravano come un calzino e ricordo che il consulente disse alla psichiatra che mi seguiva nella transizione: “Questa ragazza è così normale che mi sconvolge. Circoscritto il problema dell’identità di genere è di una normalità quasi irreale”. In realtà chi ha la disforia di genere spesso soffre di ansia, ha problematiche psicologiche di accettazione, per me non fi così e quindi io sono contenta di conservare ancora oggi 180 pagine sulla mia sanità mentale. Fu tutto normale senza traumi. Ricominciai a lavorare prestissimo. Rimasi a Londra cinque giorni poi rientrai in Italia. Affrontai l’intervento serenamente. Nella sua vita ha importanza la fede e il credo e lei oggi è diacona nell’ Inclusive Anglican Episcopal Church. Qual è stato il suo percorso religioso in questi anni? Essere cattolici in Italia è una sorte di abitudine senza consapevolezza, nel senso che il cattolicesimo italiano può definirsi religione di stato. Quindi più o meno tutti, vengono battezzati portati a messa dalle loro famiglie ecc. È evidente che io avendo iniziato i miei studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana mi si apre un mondo perché capisci quante fesserie siano state trasferite a livello di credo perché trovo inammissibile avere un credo dogmatico. Il credo è una questione di fede no dogma e la fede non ha necessità di confezione mentre il dogma è la confezione per otturare la fede. Successivamente incontrai madre Maria Vittoria e la fede anglicana fu una riscoperta tramite la persona di sua eccellenza perché io sono convinta che ogni fede necessiti di un maestro esattamente come Gesù che è stato maestro. La fede necessita di un modello che trasferisca certe cose e quindi con grande piacere ho ritrovato un mondo da cui provengo, pensi che mio nonno era un prete cattolico che si innamorò di mia nonna e nel 1945 scappò dal paesello abruzzese e si trasferirono nelle Marche dove nacque mia madre. Per me la fede è sempre stata un atto di consapevolezza, anche consapevolezza di un salto nel vuoto. E mi spiego. Quando Gesù incontra per la prima volta Simon Pietro che ritornava all’alba da una pesca in fruttuosa gli dice di ritornare a pescare con lui. Gesù non propone un dogma a Simon Pietro e non dice devi credere perché te l’ho detto io. Io ti dico di seguirmi, quindi un salto nel vuoto nella sequela di una persona. Oggi lei è stata ordinata diacona, come è stata accolta dai fedeli? Io credo che ognuno abbia il percorso da seguire e sappia dentro di sé le cose che vanno fatte e quindi, quando ho incontrato sua eccellenza Madre Maria Vittoria, che mi propose di entrare nel clero, per me fu illuminazione inequivocabile e chiarissima, come quando si incontra la persona della propria vita. Inspiegabile. I fedeli mi hanno accolta benissimo. Sono conosciuta nel mio paese e faccio parte della comunità massonica come la maggioranza dei fedeli che sono membri della massoneria. Oggi di cosa si occupa? Per molti anni sono stata una cantante lirica. Ho il diploma di canto lirico, violino e pianoforte. Poi ho deciso di abbandonare questo mondo impreparato all’accoglienza dell’altro. Oggi mi occupo di marketing nel settore sanitario. Mio marito è un consulente finanziario, con il covid quando i fondi europei con cui lui lavorava sono diventati insufficienti ha deciso di operare sul mercato medicale e quindi, io avendo abbandonato il mondo artistico, ho iniziato a collaborare con lui. Siamo sposati da tredici anni e ci conosciamo da quindici e da q facciamo sempre tutto insieme. Ora il mercato è in ripresa e lui è tornato al suo lavoro di consulenza ma io continuo a la vorare nel settore medicale di forniture per cliniche e ospedali. Per altro l’imprenditoria femminile è molto finanziata in Italia. Ascoltare Ginevra infonde speranza perché la sua storia ci indica una strada, un cammino che ogni donna può compiere per sentirsi pienamente realizzata. Tutte dovremmo credere in noi stesse, perseguire i nostri obiettivi e non tradire mai i nostri sogni. E come diceva Martin Luther King “Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla.” E Ginevra lo ha fatto.