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I fotogrammi “del tempo ritrovato” nei progetti fotografici di Gianni Leone

Foto Gianni leone

di Piero Fabris

Gianni Leone appare sul luogo dell’appuntamento con la pipa stretta in un palmo. Prendiamo posto l’uno davanti all’altro all’ombra di un gazebo. Mi chiede se ho visto i suoi scatti e letto i suoi libri fotografici. Forse si aspetta la classica domanda: Cosa è la fotografia per lei? Il mio intento è guardare negli occhi l’artefice di certi progetti fotografici, quelli di un uomo creativo dagli scenari interiori che, sa posare lo “sguardo” dove altri non lo posano così come direbbe Arturo Carlo Quintavalle e, ha saputo porsi davanti al paesaggio con la forza immaginativa di chi sa cogliere la ricchezza di un luogo, di uno spazio riscattandolo dalle visioni conformistiche che lo imbavagliano. Gianni Leone restituisce all’apparentemente vuoto la dignità, la sonorità profonda che lo abita e, come osserva Rosalba Branà: “Leone non ama le descrizioni stereotipate della Puglia, preferisce una narrazione poetica incentrata sul concetto di silenzio.

Mi ritrovo davanti al Silenzio di una montagna incantata, mi sembra di essere davanti a il grande vetro di Marcel Duchamp, davanti a una miniera racchiusa in uno scrigno, anzi un’anfora che interiormente ribolle. “Cosa è la fotocamera se non un mezzo per esprimere il nostro vedere?” È da questo interrogativo che bisogna partire per comprendere un mondo di idee, di concetti che sono alla base dei suoi scatti i quali vanno oltre il cogliere l’attimo. Essi sono l’espressione di una riflessione sul mondo che appare. Vedere? Siamo sicuri che vediamo? Forse ci muoviamo credendo di sapere, ma se gli oggetti del nostro quotidiano, le persone che incontriamo ogni giorno le decontestualizziamo, riusciamo a riconoscerle? Bisognerebbe fermarsi e riflettere su “Vaghi Paesaggi” che nel nostro vagare quotidiano hanno poco del vagabondare quanto, invece della vaghezza del nostro intendere ciò che vediamo o crediamo di vedere, magari crediamo di comprendere, trasmettere credendo di parlare lo stesso linguaggio dei nostri interlocutori.

Foto Gianni leone

La fotografia di Gianni Leone ci interroga. Crea dubbi sul nostro credere di guardare. È una “Fermata nel Deserto” proprio come una raccolta di poesie di Iosif Brodskij. Gianni Leone inquadra con la freschezza di chi, dopo tanto studio, lettura, ricerca, sperimentazioni, si diverte a guardare ogni cosa da angolazioni diverse, anzi fuori dall’ attimo catturato. È una fotografia che vuole cogliere l’essenziale, sottraendosi ai giochi di luce che mutano la forma, la sensazione. Gianni Leone va oltre la foto che banalmente, per tanti, è solo un clic dettato dall’emozione, uno schizzo improvviso immortalato, quanto l’orma di un cammino. Fotografare è cogliere la traccia di un processo Culturale, l’identificazione di una idea che è alla base di un processo pensato volto alla radice dell’essere. Si potrebbe dire che i suoi progetti fotografici sono il frutto di un distacco/ concentrato vissuto da punti dinamici diversi che possono restituire all’esser umano la facoltà di pensare e dare nome alle cose: la libertà. Gianni Leone non è un fotoreporter che ruba l’attimo all’oblio, ma un’artista dell’immagine alla quale toglie tutto ciò che è ridondante, condizionante, in favore di ciò che è lineare, essenziale; in favore dell’immediato, la traccia per percorsi dove l’essere torna a essere protagonista dei propri mondi immaginali, dei propri processi mentali. Scatti per ritrovarsi, dove il bianco e il nero hanno il giusto peso nel racconto dell’esistenza umana. Tutta l’opera di Gianni Leone è continua investigazione, capacità di andare oltre gli orizzonti che lasciano intuire l’infinito.

È grazie a Gianni se Luigi Ghirri è venuto in Puglia, se i nostri paesaggi non sono diventati semplici cartoline turistiche, ma laboratori dove vagare non è un semplice gironzolare senza meta quanto un mettere passo su passo sui sentieri inesplorati, panorami rimossi, rarefatte reminiscenze di cultura in frammenti, riflessi di un sapere ancestrale per realizzare “Il Viaggio in Italia” alla riscoperta del tempo perduto, grazie alla capacità di unire foto, ritagli, fare associazioni mentali, di capovolgere le visioni abusate dal bombardamento commerciale restituendoci le focali per punti infiniti nei quali tutto il colore della meraviglia ci restituisce l’energia creativa di ogni oggetto soggetto davanti al quale l’ultima pagina del diario onirico è solo un fotogramma bianco che schiude al “Poi” che non è vuoto ma assenza e magia. Gianni Leone accende la pipa e la miscela di tabacco si trasforma in un nastro di vapori. I cerchi profumati si allargano e dissolvono nell’aria. Per un attimo ho la sensazione d’essere sotto la pergola di un caffè parigino evocato da Proust. Le foto di Gianni Leone sono chiavi per salti temporali e spaziali.

Gianni Leone

Cenni Biografici. Gianni Leone è nato nel 1939 a Bari. Ha insegnato Storia delle dottrine politiche presso l’Università Aldo Moro di Bari. Ha iniziato a fotografare nel 1979 nel contesto di un’intensa attività di animazione culturale; dal 1981 al 1983 ha diretto la galleria “Spazio Immagine” dove ha esposto la prima ricerca, “Letture”. Fino al 1983 ha promosso gli “Incontri di Spazio Immagine”, intensi cicli di conferenze e letture affiancate da esposizioni monografiche di respiro nazionale e internazionale. Tra gli invitati a tenere gli incontri troviamo: Luigi Ghirri, Mario Cresci, Giovanni Chiaramonte che lo invita a partecipare alla collettiva: “Luogo e identità della Fotografia contemporanea Europea” (1982) insieme a Guido Guidi. La sua opera fotografica, centrata su una personalissima declinazione dl paesaggio interiore si integra con documentazione paesistica, immagine di memoria privata di ricerca critica sul linguaggio dell’immagine, si dispiega in più di trent’anni di viaggi, spesso ritorni, raccontati con scatti in bianco e nero e poi dal 1994 a colori. Molte collaborazioni e ricerche sono state editate come: “Fasti Barocchi” (sul barocco napoletano, 1984), il fondamentale “Viaggio in Italia” e “Giardini d’Europa” (1984), “Ritorno al Mare (1994), “Nuovo paesaggio italiano” (1998), “Mediterranea”, “Verde” e “Vintage” (2005 – 2008), “Poi” (2010) e “Casa Ghirri” (2011), intense riflessioni sugli spazi della perdita o “Vaghi Paesaggi”, vedute del vagabondare, della bellezza, dell’indeterminazione splendida e del continuamente mutevole dell’esterno in cui imperfettamente ci si specchia.

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