Il velo dilaniato delle donne iraniane Attualità 15 Ottobre 202224 Novembre 2022 “Donna, Vita, Libertà” manifestazione di solidarietà alle donne iraniane tenutasi a Bari di Piero Fabris Foto di Daniela Ciriello Domenica otto ottobre 2022 alle sedici e trenta la comunità iraniana del capoluogo pugliese affiancata da associazioni per i diritti umani e alla presenza dell’assessore al welfare Francesca Bottalico si è data appuntamento in corso Vittorio Emanuele al grido: “Zhen, Zhian, Azadì!” Parole che in italiano dicono: Donna, Vita, Libertà. Francesca Bottalico (Assessore al Welfare della città di Bari) e Clelia Conte (Direttrice Di Gazzetta Dal Tacco) È uno slogan di protesta e solidarietà contro un sistema politico che penalizza il pianeta femminile, gli toglie la dignità e lo vuole ai margini degli spazi sociali, lo costringe sotto l’hijad: il velo allacciato sotto la gola che copre il capo e le spalle; un velo che rischia di divenire un sipario calato sull’umanità, un tentativo di spegnere tutte le luci della “Sophia” (Sapienza, Saggezza) per lasciar precipitare nella paura chi dissente dalla volontà di uno “Stato estremistico”. È un regime che vuol consegnare ogni donna all’ignoranza, perché rimanga al di fuori dei luoghi pubblici e magari divenga “oggetto muto di desiderio” con i suoi occhi, come se fossero pietre preziose, attraverso un niqab culturale (il burqa è vestirsi con una rete che copre gli occhi, differente dal niqab che mostra solo gli occhi). Ci piace ricordare che l’usanza del velo trova radici nei paesi mediterranei come segno della donna che desiderava avere la pelle chiara e protetta grazie alla quale potersi vantare di non essere schiava, ma di essere figlia della luna, non certo colei che finisce con l’abbronzarsi perché costretta a lavorare sotto il sole severo. Si potrebbe affermare che l’idea del velo fu ripresa dalla prima comunità fondata dal Profeta Maometto divenendo dichiarazione pubblica di fede che innalza. Nel Corano non viene prescritto l’obbligo di indossarlo, ma sia alle donne che agli uomini è chiesto di vestirsi in modo decoroso, di mantenere nascoste le parti del corpo considerate sacre. L’abito è sempre da intendersi come costume, come espressione di una scelta di vita e forma di rispetto per se stessi e gli altri! L’abito è un linguaggio, l’indicatore di un sentiero spirituale, di una scelta religiosa, di un modo di essere che va rispettata, col quale si attesta di appartenere a una visione del mondo, ma non è sempre una scelta quanto una imposizione dettata dal paese contro il quale è meglio non avere problemi, oppure simbolo di obbedienza al capo famiglia che così dimostra di avere gli attributi, cioè polso autoritario, diversamente si sentirebbe disonorato. Una donna brucia il velo divenuto simbolo della dignità calpestata La VITA in certi angoli del mondo non è vissuta, ma dettata da operazioni violente che lasciano cicatrici sull’anima; sono vie dell’orrore o del terrore che alcuni chiamano “guerra santa” per esercitare il proprio potere, il dominio sull’altro, ma la vera guerra è quella quotidiana con se stessi e che conosce il significato profondo di morale che è l’Arte di Vivere la LIBERTA’. Dai Sufi, dalle loro dottrine e discipline si impara ad abbattere i muri dell’orgoglio, dell’invidia e risentimento. Abbiamo tutti bisogno di PACE, di danzare volteggiando su noi stessi così come ci insegna il mistico Rùmì. Il vero peccato (parola che significa non fare centro con l’arco) è aver disperso il valore di ogni vita, di aver dimenticato che siamo tutti abitanti di una terra dove ogni popolo con la propria cultura ed esperienza è parte di un giardino che ha nome Umanità, un’umanità che grida Pace, che chiede Ascolto. Una manifestazione quella di domenica pomeriggio che ha squarciato i veli su chi passeggia per la città sorda al dolore. Durante la manifestazione di protesta La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la morte della ventiduenne Mahasa Amini arrestata a Tehran, dove si trovava con la famiglia per fare compere. Secondo la polizia religiosa aveva infranto la legge sull’obbligo del velo (legge del 1981), anzi per averlo indossato in maniera inadeguata. Sembra, infatti che una ciocca dei suoi capelli sbucasse dal copricapo. I testimoni oculari affermano che è stata pestata e che abbia battuto la testa. La giovane donna dopo tre giorni di coma è deceduta. Il presidente del regime teocratico della Repubblica Iraniana, Ebraim Raisi ha chiesto al ministro dell’interno Ahmad Vaidi di aprire un’inchiesta. Nonostante il volto presentasse evidenti segni d’aggressione, la versione ufficiale è che la vera causa, secondo il referto dell’autopsia sulla ventiduenne dipartita, non sia dovuta alle percosse, ma a un suo tumore. La dichiarazione “diplomatica” lascia perplessi e non sposta la visione su una realtà che offende, schiaccia e soffoca intelligenza e sensibilità. In corso Vittorio Emanuele a Bari durante la manifestazione, donne di tutte le età si tagliavano ciocche di capelli e dicevano: “anche noi siamo Mahsa. Alle invocazioni di giustizia veniva intonato il canto: “O BELLA CIAO” che è prima di tutto un inno alla libertà, un desiderio di vita piena senza oppressione. Un canto che ha il colore del desiderio di pace e libertà, di vita vissuta in pienezza, ma per comprenderne il vero messaggio bisognerebbe imparare ad ascoltare la gente, i popoli e non giocare a fare le popstar al disopra del bene e del male. 15 ottobre 2022
Un articolo chiaro essenziale che spiega, con riprese storiche, il dramma delle donne iraniane. Ma comprendiamo la morte solo quando coinvolge qualcuno che amiamo dimenticando che ogni donna partecipa attivamente alla. Costruzione della società che deve accogliere i propri figli. GRAZIE Piero Rispondi