Ci lascia Gianfranco Baruchello – Il grande artista dei sogni e segni inespressi Arte Cronaca 23 Gennaio 202326 Gennaio 2023 di Rossella Cea Per lui l’ Arte era soddisfazione di bisogni primari, non futili. Arte come utopia,azione politica e poetica allo stesso tempo. Arte anche come la grande impresadella vita:”… la mia idea era che tutto questo sarebbe stato arte, arte e noneconomia, che l’arte sarebbe potuta divenire un esempio su base puramenteumana, non più legata allo sfruttamento, e che alla fine ci sarebbero state tantepatate da poterle regalare a tutti». Così Gianfranco Baruchello pensava l’ Arte,che, attraverso la sua personale visione espressiva, diveniva dialogo tra mondiopposti, talvolta percorso di elementi di scarto, come a rivalutarneprofondamente l’importanza. Nato nel 1924,si era laureato in legge, iniziandouna brillante carriera aziendale. Un viaggio prima a Parigi e poi a New Yorkaveva rappresentato per lui come una folgorazione, che metteva a nudo quel chenon funzionava nella vita condotta fino ad allora: in Francia conobbe l’artistacileno Sebastian Matta e il poeta Alain Jouffroy, a Manhattan incontrò MarcelDuchamp e divenne suo intimo amico. Decise così di dedicarsi all’arte passandoper gli studi di Wittgenstein e della filosofia del linguaggio. La sua poetica hadato il via ad un viaggio originalissimo che presto avrebbe abbandonato lesuggestioni dell’espressionismo astratto americano per approdare sin dai primianni ’60 ad una critica anche radicale delle strutture codificate della società. Nonlo fará mai, però, cercando la retorica, né attraverso lo scontro diretto, mamettendo in gioco strumenti apparentemente superficiali, in grado però discuotere gli equilibri dall’interno. Agisce con una pittura di accostamentimaterici e soluzioni espressive atipiche, sempre in dialogo con una dimensioneonirica: quasi un percorso per puntare al cuore semplice delle dinamicheespressive. Amava il linguaggio cinematografico. Nel film Verificaincerta (Disperse Exclamatory Phase), realizzato nel 1964 in collaborazione conAlberto Grifi, aveva recuperato 150.000 metri di pellicola di scarto del cinemacommerciale americano degli anni ’50 e ’60. Da quel materiale aveva ricavato unmontaggio incollando gli spezzoni di pellicola con il nastro adesivo: un massacrocinematografico di film hollywoodiani, rimontati pensando al Dadaismo. Erastato Marcel Duchamp a battezzarne la prima alla Cinematéque Française aParigi nel 1965; John Cage lo aveva poi portato al Moma di New York, entusiastadella colonna sonora da lui creata. È proprio la poetica del montaggio a far da filo conduttore di tutta l’opera diBaruchello. Una poetica che gli ha permesso di avvalersi di materie e simbolianche completamente dissonanti, quando organizzava le sue bacheche e i suoiarchivi visivi dove convivono e si articolano tra di loro oggetti fisici e formesegniche. Nello spazio asettico di una scatola possono prendere vita i suoiitinerari labirintici, con quei minuscoli disegni dal tratto nero e secco, con lescritte minute che navigano libere e sincere negli spazi. Un artista dallapersonalità complessa, ma nello stesso tempo semplicissima, che è riuscito adinventare qualcosa di nuovo e ad essere un esempio per un’intera generazione.Ha attraversato con coraggio e ironia i territori dell’utopia e dell’immaginazione,i percorsi inesplorati dell’anima e della mente. Facendone arte, quando ancoraarte non era. Che si tratti di scelte plateali o di codici cifrati, l’ impegno e l’autenticità di Baruchello hanno creato un mito che difficilmentedimenticheremo, specialmente in questo periodo difficile, di carestia artistica evuoto esistenziale.